
Medusa
Medusa
Si è sempre saputo poco di Medusa, la bellissima Gorgone trasformata da Atena in un orribile mostro, punita per aver profanato un tempio della Dea giacendo con Poseidone.
Tramite il suo sguardo, lei ha già reso di pietra il nostro sapere, vanificandolo.
Occorre misurarsi con tale mancanza. Ivano e Valentina lo fanno capire sottotraccia. Sporgendosi sul vuoto, riducono lo scenario ai minimi termini. È il fascino misterico che emana dalla performance, fin dall’inizio. Medusa non vorrebbe di più.
Utero azzurro, frammento oceanico. Oppure lembo staccàtosi dall’Olimpo, ora adibito a coperta. Tessuto che gradualmente si agita, s’increspa, moltiplica le pieghe, crea angoli e punte. Forse là dentro una creatura si muove, si divincola, fa di tutto per liberarsi dal suo placentare involucro. Avevamo visto giusto: il parto avviene, fulmineo. Una donna sorge: è Lei.
Ivano e Valentina sono consapevoli che Medusa non parla, non può parlare. La sua “parola-essere” è il corpo. Solo questo, un corpo come fucina d’isteria. Contorsioni selvagge, spasmi, giravolte lunari, suoni inarticolati, grida indotte da sofferenza inumana, cosmica.
Il “senso” di Medusa, espresso pienamente da quelle esibizioni, trova sùbito il suo contrappunto naturale in una macchina sonora contigua, il dispositivo di Ivano: sintetizzatore, piccola grancassa, gong. Voci aliene e dissonanti si susseguono, s’incrociano. Le due atmosfere acustiche sembrano fondersi.
Insistente ma impotente, anche la voce del logos, quella di un sapere erudito e sterile, si farà sentire: frammenti concatenati, tolti da enciclopedie e trattati, fin troppo a misura d’uomo. Non riusciranno a lenire il canto dolente che sorge dagli abissi.
Gilberto Isella